IL TRIBUNALE MILITARE DI SORVEGLIANZA
    Ha  pronunciato,  all'udienza  del  15  marzo  1994,  la  seguente
 ordinanza in tema di affidamento  in  prova  ad  un  ufficio  o  ente
 pubblico  non  militare  ancor prima dell'inizio della detenzione, ai
 sensi della legge 29 aprile 1983, n. 167 e successive modifiche,  nei
 confronti del condannato militare Francinella Fabio, nato a Genova il
 5 aprile 1972 ed ivi residente in via Borzoli n. 16/A, 38, condannato
 alla pena di mesi tre di reclusione militare inflittagli con sentenza
 in  data  15  ottobre 1993 del g.i.p. presso il tribunale militare di
 Torino per il reato di rifiuto del servizio militare di leva
 (art. 8 secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772).
    1.  -  In  ordine  alla  domanda  indicata  in epigrafe osserva il
 tribunale che ne sussistono i presupposti di ammissibilita',  che  il
 giudizio  prognostico  sulla  risuscita  dell'affidamento puo' essere
 formulato con riferimento al comportamento serbato dal condannato  in
 liberta'  successivamente  alla data del reato e che dalle risultanze
 in atti (informazioni dei  carabinieri  e  relazione  del  competente
 centro  di  servizio sociale per adulti) tale comprtamento appare con
 connotazioni  atti  a  far  presumere   che   per   la   rieducazione
 dell'interessato  e  per  prevenire che egli compia altri reati siano
 sufficienti talune prescrizioni limitative della liberta'.
    Quanto alla tipologica dell'affidamento applicabile e quindi delle
 prescrizioni da  impartire,  le  parti,  all'odierna  udienza,  hanno
 formulato  divergenti conclusioni, prospettando questioni sulle quali
 occorre soffermarsi.
    2. - Con la  sentenza  n.  358/1993  la  Corte  costituzionale  ha
 stabilito  che  la  sostituzione,  per egual durata, dalla reclusione
 militare alla reclusione, prevista nell'ar. 28 c.p.m.p. nei  casi  in
 cui alla condanna per il reato militare non consegua la degradazione,
 non  deve  operare rispetto alle condanne per il reato di rifiuto del
 servizio militare di leva per motivi di coscienza di cui all'art.  8,
 secondo  comma, della legge n. 772/1972; e in tal senso ha dichiarato
 la parziale illegittimita' costituzionale dello stesso art. 27.
    Ha infatti rilevato la Corte che "la legge non puo', senza  cadere
 in  palese  contraddizione,  basare  sull'adduzione  di  giustificati
 motivi di  coscenza  un  trattamento  punitivo  per  il  rifiuto  del
 servizio  militare  stesso e, nello stesso tempo, far consistere quel
 trattamento in  modalita'  volte  prevalentemente  nel  recupero  del
 soggetto al servizio militare".
    Nella  stessa  sentenza  non  si rinvengono, pero', considerazioni
 attineti alle conseguenze sul piano del  regime  penitenziario  della
 disposta   deroga  al  principio  generale  contenuto  nell'art.  27;
 segnatamente, nulla si ricava in ordine al problema  della  ulteriore
 applicabilita'  ai  condannati  per  il  reato  de quo dello speciale
 affidamento in prova previsto nella legge 29 aprile 1983, giacche' la
 Corte si e'  sul  punto  limitata  a  dichiarare  inammissibile,  per
 estraneita'  al  tema  della  decisione,  la  sollevata  questione di
 costituzionalita' anche dell'art. 3, terzo  comma,  della  legge  ora
 citata.
    Secondo  tale  disposizione,  invero,  "i  condannati  per i reati
 militari originati da obiezione di coscienza possono essere  affidati
 esclusivamente   ad   un   ufficio  o  ente  pubblico  non  militare,
 determinato dal  Ministro  della  difesa,  per  prestarvi  servizio".
 Stante  il  tenore tassativo della norma, e il suo indubbio connotato
 di specialita', si potrebbe pensare  che  essa  valga  a  prescindere
 dalla  natura  della  pena  inflitta  ai condannati di cui trattasi e
 quindi si ponga ora come deroga a quanto stabilito, per  l'esecuzione
 della   pena   detentiva   tout   court,  dell'art.  47  della  legge
 penitenziaria (n. 354/1975  e  successive  modificazioni);  in  luogo
 dell'affidamento  in  prova al servizio sociale, per gli obiettori di
 coscienza c.d. totali,  sarebbe  previsto  un  affidamento  in  prova
 "esclusivamente"  presso un ente pubblico non militare, allo scopo di
 adempiere a una prestazione di servizio riconducibile ai  compiti  di
 quell'ente.  Evidente  il  diverso  contenuto  e la diversa incidenza
 pratica della "prova" nei due casi.
    Parve,   tuttavia,  a  questo  tribunale,  dopo  un  significativo
 contrasto di decisioni, che maggiormente  in  linea  con  lo  spirito
 della  sentenza  n.  358/1993  della  Corte  costituzionale fosse una
 interpretazione  della  norma  dell'art.  3,  terzo  comma,   citata,
 inserita all'interno della legge che la contiene, la quale disciplina
 l'affidamento  in prova speciale nei casi di condanna alla reclusione
 militare. Posto che tale ultima circostanza emerge con chiarezza  per
 via  dei  continui  riferimenti  allo "stabilimento militare di pena"
 operati dalla legge (cfr. artt. 1, primo comma,  2,  primo  comma,  7
 primo,  terzo e ottavo comma) sembro' al tribunale di dover affermare
 che  l'operativita'  del  disposto  dell'art.  3,  terzo  comma,  nei
 confronti  dei  condannati  per  il  reato  di  cui al citato art. 8,
 dipendesse dalla premesssa che anche a  costoro  veniva  inflitta  la
 reclusione militare, per effetto dell'art. 27 del c.p.m.p.; ne doveva
 conseguire  che,  una  volta  venuta meno, per la dichiarata parziale
 incostituzionalita' della norma, tale premessa,  lo  stesso  art.  3,
 terzo comma, non avrebbe piu' potuto avere applicazione nei confronti
 dei c.d. obiettori totali e quindi che per costoro riprendesse vigore
 il regime di affidamento in prova ordinario, di cui all'art. 47 della
 legge penitenziaria.
    Invero,  parve che la previsione in discorso si giustificasse come
 correttivo specifico della regola fondamentale statuita con la  legge
 n.  167/1983,  secondo la quale si introduceva l'affidamento in prova
 come misura alternativa alla reclusione militare e  la  si  correlava
 allo  svolgimento  del  servizio  militare, in linea con il contenuto
 precipuo che la  reclusione  militare  possiede  rispetto  alla  pena
 detentiva  comune  e  che la stessa Corte costituzionale ha ravvisato
 consistere  nel  "prevalente  recupero  del  condannato  al  servizio
 militare" (cfr. sentenza n. 414/1991).
    Parve,  cioe', a questo tribunale che il "servizio civile" in fase
 di  affidamento  in  prova  per  i  condannati  obiettori  fosse  uno
 strumento  istituito per dar modo anche a costoro di scontare la pena
 al  di  fuori  del  carcere  militare,  senza  dover  necessariamente
 recedere  dalla posizione che li aveva portati a commettere il reato.
 Del resto tale preoccupazione aveva ragione di nascere solo in quanto
 anche per il reato di rifiuto operava la conversione della reclusione
 in  reclusione  militare,  ex  art.  27,  giacche',  diversamente,  i
 condannati  obiettori  non  avrebbero  avuto  davanti  a  loro stessi
 l'alternativa secca carcere-servizio militare.
    La lettura sistematica qui sinteticamente riassunta non  e'  stata
 condivisa  dalla  Corte  di  cassazione,  sezione prima, che con piu'
 pronunce in data 21 gennaio 1994 ha imposto al tribunale militare  di
 sorveglianza  di  ripristinare  nei  casi in questione l'operativita'
 dell'istituto  dell'affidamento  in  prova  ad  ente   pubblico   non
 militare.
    3.  - Per effetto della ricostruzione operata dalla Corte suprema,
 dunque, il condannato alla pena della reclusione per il reato di  cui
 al  citato  art.  8  non  puo'  godere  dell'affidamento  in prova la
 servizio sociale, ma deve venir affidato esclusivamente  ad  un  ente
 pubblico  per prestarvi servizio. Ne risulta un regime di affidamento
 ben piu' gravatorio rispetto a quello previsto  per  qualsiasi  altro
 condannato a pena detentiva diversa dalla reclusione militare, oppure
 anche  per il condannato alla reclusione militare che sia in congedo,
 cioe' non abbia "ancora obblighi di servizio militare" (art. 1, primo
 comma  della  legge  n.  167/1983):  si  prevede  una  prestazione di
 servizio (non militare) obbligatoria), da svolgere al di fuori  della
 sfera  sociale  propria  del condannato, con possibile pregiudizio di
 posizione affettive, familiari, di studio o, addirittura, di lavoro.
    Una norma scritta in favore  dei  c.d.  obiettori  totali,  si  e'
 insomma  trasformata, per il mutare del quadro di riferimento, in una
 previsione capace di rendere deteriore il trattamento di costoro.
    Su questa  sensibile  diversificazione  del  regime  ordinario  di
 affidamento  si  inserisce un aspetto che sembra renderla ancora piu'
 stridente con i criteri di ragionevolezza e che aveva convinto infine
 questo Tribunale ad adottare la soluzione ora cassata dal giudice  di
 legittimita':   la   pretesa   deroga  riguarda  soltanto  l'istituto
 dell'affidamento in prova e non anche le altre misure  alternative  o
 gli  altri  strumenti  rieducativi  previsti  per  le  pene detentive
 diverse  dalla  reclusione  militare.  Sicche',  mentre  prima  della
 sentenza  n. 358/1993 della Corte costituzionale il condannato per il
 reato  di  cui  all'art.  8  aveva  a  disposizione  il  ridottissimo
 campionario  rieducativo  che  la legislazione vigente prevede per il
 condannato  alla  reclusione  militare,  non  potendo,  per  esempio,
 accedere a permessi premio (art. 30 della legge penitenziaria) e solo
 in  casi  marginali godere del beneficio della detenzione domiciliare
 (art. 47- ter della legge penitenziaria, in relazione  alla  sentenza
 n.  411/1991  della  Corte  costituzionale),  attualmente, poiche' il
 regime derogatorio di cui al piu' volte citato art. 3,  terzo  comma,
 riguarda  esclusivamente  l'affidamento in prova, costui - condannato
 alla reclusione - ha la possibilita' di scontare la pena  secondo  le
 modalita'  previste  dalla  legge  penitenziaria, fatta eccesione per
 l'affidamento in prova. Cosi', per esempio, se  opta  per  il  regime
 intramurario,  sconta  la  pena in una comune casa circondariale o di
 reclusione, sottoponendosi al trattamento  rieducativo  previsto  per
 qualsiasi condannato; ovvero, avendone i requisiti, puo' godere della
 detenzione  domiciliare  che  gli consente di non recidere i rapporti
 con la propria sfera sociale e, in ipotesi, di conservare un rapporto
 di lavoro. Mentre, solo se decide di chiedere l'affidamento in  prova
 va incontro a un trattamento del tutto peculiare e deteriore.
    Sembra  al  tribunale  che  sia privo di ragionevolezza un sistema
 normativo che rinunci a  chiedere  al  condannato  in  questione  una
 particolare   rieducazione,  riconoscendo  cio'  non  imprescindibile
 corollario del tipo di reato commesso, cosi' come rinuncia a chiedere
 l'adempimento della prestazione  del  servizio  militare,  una  volta
 espiata  la  pena  (art.  8,  terzo  comma, della legge n. 772/1972),
 mentre nella previsione di un solo istituto penitenziario  si  faccia
 carico  di  differenziare  la  posizione dell'obiettore da quella del
 condannato per altri reati, imponendogli l'onere di  una  prestazione
 di servizio, ai fini dell'estinzione della pena.
    Simile  sistema  normativo,  che  la  Corte  di cassazione ritiene
 tuttora  applicabile,   sembra   contemporaneamente   realizzare   la
 violazione  del  principio  di  eguaglianza sancito nell'art. 3 della
 Costituzione e integrare una ingiustificata deroga al  principio  del
 tendenziale orientamento rieducativo della pena di cui all'art. 27.
    Sotto  il  primo profilo, dopo la piu' volte ricordata sentenza n.
 358/1993,  la  posizione  dell'obiettore  condannato   non   va   piu
 riguaredata  in  relazione  a  quella del militare avente obblighi di
 servizio, ma confrontata con quella del condannato alla reclusione, o
 anche  del  militare condannato alla reclusione militare, ma privo di
 obblighi di  servizio;  ne  risulta  una  disciplina  discriminatoria
 dell'affidamento   in   prova   non  fondata  su  alcuna  ragionevole
 differente situazione di fondo, giacche' la prognosi di recupero  del
 reo   deve   svolgersi   in  tali  casi  tenendo  conto  delle  "sole
 prescrizioni" da impartire al condannato (cosi' art. 2, primo  comma,
 della  legge  n. 167/1983, in relazione con l'art. 47, secondo comma,
 della  legge  n.  354/1975  e  non  anche  di   elementi   aggiuntivi
 necessitati  da  specifiche  esigenze rieducative (del tipo di quello
 indicato nell'art. 2, primo  comma,  della  legge  n.  167/1983,  per
 coloro che hanno obblighi di servizio).
    Sotto  il  secondo  profilo,  infatti,  prevedere  come  contenuto
 dell'affidamento la prestazione di un servizio  "civile",  una  volta
 escluse   le   direzionalita'  rieducative  specifiche  che  venivano
 segnalate dalla scelta di una sanzione penale peculiare, come  quella
 della  reclusione  militare, significa caricare la misura alternativa
 di un onere affatto sganciato dalla ambizioni rieducative della  pena
 e  riconducibile  esclusivamente  ad una logica afflittivo-catartica;
 vieppiu', si ribadisce, se si considera che tale aggiunzione  risulta
 inspiegabilmente    prevista   solo   per   la   misura   alternativa
 dell'affidamento in prova.
    Il tribunale ha presente che il  contenuto  della  pena  non  puo'
 interamente  spiegarsi  alla  luce del teleologismo rieducativo; cio'
 pero'  non  significa  che  il  legislatore   possa   arbitrariamente
 innestare sulle modalita' esecutive della pena connotati asistematici
 e  discriminatori  che  a  quel principio costituzionale non siano in
 alcun modo riducibili.
    4. - Le considerazioni sopra svolte inducono  il  collegio,  sulla
 domanda  di  affidamento  in  prova  in  epigrafe,  a  dubitare della
 conformita' della Costituzione dello speciale  affidamento  in  prova
 per  gli  obiettori  di coscienza condannati per il reato di rifiuto,
 delineato  nell'art.  3,  terzo  comma,  della  legge  n.   167/1983,
 richiamato  dall'art.  1,  primo  comma,  ultima  parte, della stessa
 legge. La questione di  costituzionalita',  cosi'  come  prospettata,
 oltre  a  essere non manifestamente infondata, e' anche rilevante nel
 caso  di  specie,  dovendosi  stabilire  se   la   richiesta   misura
 alternativa  debba  svolgersi come prescritto nell'indicato art. 3 o,
 invece, alla stregua della disciplina  ordinaria  prevista  dall'art.
 47, della legge n. 354/1975;